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SENZA RESPIRO

Fonte Casale Alba

Manca l’aria. Temperature roventi. Ci sono due ventilatori per 6 persone, nella stessa cella. Non entra un filo d’aria, è tutto chiuso. L’acqua va e viene. Salta la corrente di notte ma nessuno si attiva per ripristinarla, non funzionano più neanche quei pochi ventilatori scassati. Si diffondono malattie infettive, episodi di autolesionismo. Sono solo alcuni stralci delle lettere che arrivano da Rebibbia in questi giorni.

Mentre fuori dalle mura delle carceri italiane si parla di cambiamento climatico, caldo record, riscaldamento globale, dentro gli istituti penitenziari non si respira. In questi giorni abbiamo letto i soliti, ciclici fiumi di inchiostro che puntualmente due volte l’anno – di norma a Natale e con l’estate – si ricordano della presenza di detenute e detenuti nel Paese. Stavolta è stato l’ex sindaco Alemanno a balzare sulle cronache dei media. Ma non si parla mai dei veri problemi.

“Senza respiro” è il titolo eloquente del XXI Rapporto di Antigone sulle condizioni penitenziarie. Sovraffollamento oltre il 150% in 58 istituti su 189. Decreto Caivano, DL 1660, pacchetto sicurezza, inasprimento delle pene che continuano ad aumentare la popolazione carceraria. Una crescita di 300 detenuti ogni sessanta giorni: praticamente servirebbe un nuovo carcere ogni due mesi per contenere il flusso attuale di detenute e detenuti.E’ emergenza? No, non sembrerebbe. Perché il quadro è chiaro da anni e nei primi sei mesi del 2025 si contano 41 suicidi in carcere, una vita spezzata ogni 4 giorni. Solo due giorni fa l’ultimo nel carcere di Frosinone. Non è emergenza perché è una strage lenta, silenziosa, di cui nessuno si occupa. E solo adesso, dopo 40 anni, ci si accorge che diverse sezioni di Rebibbia sono realizzate in vecchio cemento non coibentato che trasforma le celle in una fornace.

Misure alternative, interventi strutturali, adattamento ai cambi climatici. Non si può più aspettare, non si possono fare solo annunci come quello del ministro Nordio stamattina. Ma, soprattutto, non ci si può indignare oggi e dimenticare domani.