
Il 5 ottobre è piovuto tantissimo. Finita la pioggia, i lacrimogeni: hanno fatto di tutto per impedire che il sole illuminasse le bandiere della Palestina.
Hanno fatto di tutto affinché in quella giornata non ci fosse una manifestazione contro il genocidio. Hanno fatto di tutto e nonostante ciò, non ci sono riusciti.
Lo Stato italiano ha scelto quel giorno da che parte stare, ma lo ha scelto anche il giorno in cui ha deciso di arrestare Anan, Ali e Mansour, perché facenti parte della resistenza palestinese. È chiara la scelta di campo.
La storia di Tarek racconta questa realtà qui: molto chiara, molto concreta, molto ingiusta. Un ragazzo tunisino, arrivato in Italia nel 2008 e che il 5 ottobre, quando ha visto la polizia caricare le bandiere della Palestina, non ha avuto dubbi su che parte prendere. Si è messo in mezzo, come poteva, come ha creduto più opportuno. Racconta la storia di un ragazzo come tanti, uno dei tanti dannati di questa terra, che in quanto tale, per un reato di resistenza, è stato condannato a 4 anni e 8 con rito abbreviato (più di quanto avesse chiesto il pm). Tarek è la storia di questo tempo, di questa democrazia coloniale, perché non è ricco, non è bianco, non ha reti di solidarietà, e quel giorno ha preso parte a una manifestazione per la Palestina in cui ci sono stati scontri con le f.d.o. Quanto basta per esercitare tutta la (“legittima”) violenza di uno Stato occidentale e colonialista.
Dire che in quella piazza c’eravamo tutti e tutte non è solo uno slogan, eravamo realmente tantissim*. L’obiettivo della giornata era fare un corteo gli scontri, poi, sono stati l’inevitabile conseguenza. I filtri della polizia all’ingresso della piazza, la politica sorda che, per impedire la giornata, fa una levata di scudi unitaria, l’informazione che stigmatizza le ragioni. Nulla di nuovo, l’aspetto inedito è stata la quantità, e la determinazione, delle persone che quel giorno sono scese in strada.
Quel giorno la realtà è stata chiara: la libertà non si concede, si prende a spinta.