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Ponte sullo Stretto = ponte del riarmo UE e della NATO

La nostra lotta contro il MUOS è una lotta non solo contro la guerra e l’imperialismo USA, ma anche una lotta contro la devastazione ambientale e contro la conseguente deprivazione dell’acqua e delle risorse primarie della terra, per la liberazione della sughereta e della Sicilia dalle basi militari. Abbiamo imparato in questi lunghi anni di lotta quanto guerra, estrattivismo e devastazione ambientale siano legate, e quanto il capitalismo per sopravvivere alle sue crisi cicliche abbia bisogno della guerra.
La guerra per darsi ha bisogno di tante cose che ritroviamo nella materialità dei nostri territori: le basi militari, la propaganda dentro le scuole, le infrastrutture per trasportare mezzi e armi, e soldi, tanti soldi, che si tolgono all’istruzione, alla ricerca non bellica, alla sanità… Il ponte sullo Stretto di Messina è uno dei tasselli che rende la guerra presente a casa nostra.
La storia del ponte è lunga e contorta: prima cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi, oggi ragione della vita politica di Matteo Salvini, il nuovo capitolo della storia del Ponte sullo Stretto è strettamente legata ai tempi che viviamo, che sono tempi di guerra ed economia di guerra. Dove prendere i soldi se non dagli ingenti finanziamenti che si prevedono dalla Difesa? Come fare questa cosa se non giustificando una opera inutile per ragioni inerenti alla Difesa?
È così che il progetto del ponte sullo stretto di Messina dal 2024 rientra nel sistema di corridoi europei TEN-T, quelli a cui fa riferimento il Piano di Azione per la mobilità militare 2.0 europeo, secondo cui bisogna rafforzare i sistemi di mobilità in ottica dual use, ovvero per uso militare. Quel piano, per intenderci, che ha portato alla sigla dell’accordo tra RFI e Leonardo. Ma il ponte recentemente è diventato strategico anche per gli interessi militari della NATO. Al vertice di giugno che si è tenuto all’Aia, la NATO ha ottenuto quello che voleva: portare le spese militari dal (già contestato) 2% al 5% del PIL dei paesi membri. Ma la NATO non si è limitata a dirci QUANTO spendere, ma anche COME spendere, accompagnando a questa richiesta un piano di investimenti: il 3,5% del PIL annuo per gli armamenti, il restante 1,5% da destinare a infrastrutture strategiche, industria e sicurezza. Insomma, più uomini, maggiori livelli di prontezza e risposta bellica, maggiore interoperabilità. Una formula questa, secondo il Segretario Generale della NATO, che rende molto semplice il raggiungimento di questa soglia anche dai paesi in difficoltà (Italia compresa). È Tajani a svelarci cosa rientrerà in quel 1,5% per le infrastrutture strategiche in Italia. A pochi giorni dal vertice NATO all’Aia dichiarava: «La Sicilia è in mezzo al Mediterraneo, ci sono importanti basi Nato, certo avere un sistema infrastrutturale più efficiente che unisca la Sicilia al resto dell’Europa significa anche rinforzare la sicurezza». Ed è così che il Ponte diventa strategico anche per la NATO. E meno male che la NATO e gli USA stavano abbandonando l’Europa a sé stessa!
Insomma, il Ponte ci permette di dare un colpo al cerchio del RearmEurope e un colpo alla botte del 5% richiesto dalla NATO, in barba al governo ultra-sovranista italiano che, a quanto pare, si fa dettare le legge di bilancio dall’Unione Europea e dalla NATO.
Naturalmente tutto questo non ha davvero a che vedere con esigenze militari: i mezzi militari non si muovono mica su strada. Navi, treni, velivoli… nulla di questo ha davvero a che fare col Ponte sullo Stretto. Ma pur di mandare avanti la macchina mangia-soldi della guerra e del fantomatico Ponte, pur di mantenere la sudditanza nei confronti della NATO si fa anche questo. Certo, a noi il dubbio che l’accettazione di quel 5% sia stato utilizzato come moneta di scambio per abbassare i dazi americani ci è venuto. Ancora una volta, ci ha aiutato Tajani a capire, che alla vigilia dell’ultimo vertice NATO faceva questa dichiarazione: «Noi siamo disposti ad aumentare le spese per la nostra sicurezza ma bisogna trattare anche sui contenuti e vedere. Certo, se gli americani chiedono di aumentare, giustamente, la spesa militare per la sicurezza dell’Europa, la scelta di imporre dazi diventa contraddittoria». Ancora una volta siamo noi e i nostri territori a essere utilizzati per gli interessi di governi imperialisti distanti dalle nostre esigenze materiali.
Giorgia meloni, in una delle poche volte che si è fatta vedere in parlamento, a maggio è stata molto chiara: «L’Italia e l’Europa devono rafforzare le proprie capacità difensive per rispondere alle responsabilità cui sono chiamate anche in ambito NATO: lo ribadisco in questa sede con la coerenza di chi da patriota ha sempre sostenuto un principio semplice, cioè che libertà ha un prezzo e se fai pagare a un altro la tua sicurezza non sei tu a decidere pienamente». Alla Meloni diciamo che sappiamo bene che prezzo ha la libertà. Lo sappiamo per la repressione subita per le manifestazioni che organizziamo e a cui partecipiamo, per l’assenza di servizi e welfare dovuti all’economia di guerra in ci viviamo, per l’immobilismo politico che caratterizza il territorio che subisce la presenza di un progetto di una grande opera. Lo sappiamo bene cosa costa la libertà dalle nostre parti.
Aderiamo con sentito piacere alla manifestazione no ponte del 9 agosto a Messina, consapevoli che lottare contro le basi militari oggi è più che mai legato alla lotta contro le grandi opere, che guerra ed estrattivismo sono due facce della stessa medaglia, e che vogliamo liberarci tanto dalle basi militari quando da grandi opere inutili.
No MUOS e No Ponte, fino alla vittoria!