Vai al contenuto
Home » “La scuola non si arruola”: sulle mobilitazioni del 4 novembre scorso

“La scuola non si arruola”: sulle mobilitazioni del 4 novembre scorso

Il 4 novembre, giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, è stata una giornata significativa di lotta e mobilitazione: i lavoratori e le lavoratrici della scuola, sostenuti dagli studenti, sono scesi in 38 piazze italiane per affermare che “la scuola non si arruola”. Il rifiuto della capillare militarizzazione della scuola, militarizzazione che è funzionale all’arruolamento dei giovani nella guerra in corso, è netto.

Oggi, sospesa ormai la leva obbligatoria dal 1° gennaio 2005, l’esercito italiano non ha grandi numeri. A tal riguardo, a gennaio 2025 il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il Generale Carmine Masiello, ha affermato che è un obbiettivo aumentare il numero della riserva militare (ossia militari non in servizio permanente ma pronti ad essere chiamati alle armi) da 45.000 a oltre 90.000 entro il 2030. Sullo stesso solco era stata annunciata, sul sito del Ministero della Difesa, la creazione il 6 marzo 2023 del Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della Cultura della Difesa.

Il 4 novembre, per creare consenso attorno alle forze armate e per incentivare gli arruolamenti, il Ministero della Difesa si è attivato attraverso la promozione di eventi istituzionali e per una maggiore presenza delle forze armate nelle scuole (anche se, rispetto allo scorso anno, il Governo Meloni, sempre più debole per via della mobilitazione popolare, ha preferito tenere un profilo basso), per magnificare l’industria della difesa e delle tecnologie belliche per creare i presupposti di accettazione della guerra da parte delle nuove generazioni.

In questo contesto, preziosa l’azione dell’Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e università, ufficialmente presentato a Montecitorio nel marzo del 2023, come reazione dal basso a questo tentativo di manipolazione della società in senso bellicista. La propaganda bellicista è imperante e funzionale a creare un clima di guerra: la parola crisi ricorre frequentemente ma, come dice Roberta Leoni dell’Osservatorio contro la militarizzazione di scuole e università, “è sufficiente leggere guerra, invece di crisi, per capire quali sono gli obiettivi ultimi”.

Nelle manifestazioni del 4 novembre, e prima ancora quelle del 22 settembre e del 4 ottobre scorso, i lavoratori e le lavoratrici della scuola hanno mostrato nella pratica che non sono d’accordo con la tendenza bellicistica in atto e sono stati tra i protagonisti delle mobilitazioni che nei mesi scorsi hanno attraversato tutto il paese.

A fronte del ruolo assunto dai lavoratori della scuola in questi mesi, il Ministero dell’Istruzione ha annullato il corso di formazione promosso dall’Osservatorio assieme al CESTES (ente accreditato presso il Ministero dell’Istruzione) dal titolo “4 novembre, la scuola non si arruola” perché “non coerente con le finalità di formazione professionale del personale docente, presentando contenuti e finalità estranei agli ambiti formativi riconducibili alle competenze professionali dei docenti”. In definitiva, bisogna colpire chi vuole educare alla pace, perché scompagina i piani dei guerrafondai al governo, servi degli USA, della NATO, dell’UE e dei suoi piani di riarmo. Poco importa se la pace, il rifiuto della guerra per risolvere i conflitti internazionali siano valori impressi nella Costituzione della Repubblica italiana e scritti col sangue di chi ha liberato il paese dal fascismo e dalla Seconda guerra mondiale. D’altronde, la Costituzione, come il diritto internazionale, “vale fino ad un certo punto” per il governo Meloni.

Parliamo quindi di un vero e proprio attacco repressivo volto a colpire la libertà di espressione, di formazione e di organizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici: insegnanti, studenti, associazioni, comitati e cittadini sanno bene che alimentare il bellicismo non porterà che a future catastrofi. Per questo si attivano. E questo attivismo preoccupa il governo, che ha bisogno di nascondere e reprimere il dissenso.

Nonostante il tentativo di censura, l’Osservatorio contro la militarizzazione di scuole e università ha mantenuto il convegno, rinominato “La scuola non va alla guerra. L’educazione alla pace risponde alla repressione”, e dai 1400 insegnanti che si erano iscritti in un primo momento per partecipare, oltre 6000 utenti complessivamente hanno seguito il convegno e nel pomeriggio centinaia di lavoratori e lavoratrici hanno animato le piazze del Paese.

Il tentativo repressivo è stato rimandato al mittente e questo ha incoraggiato una più ampia mobilitazione.

Adesso è importante coltivare i risultati del 4 novembre e delle future mobilitazioni, verso lo sciopero generale del 28 novembre e oltre. Il centro della lotta in questa fase è alimentare l’organizzazione e il coordinamento di coloro che si sono riversati nelle mobilitazioni di settembre e ottobre: è fondamentale organizzarsi e raccogliere tutte le energie di chi vuole attivarsi e dare il proprio contributo. Occorre coordinarsi, unire concretamente le nostre forze, moltiplicare le iniziative ed estendere la lotta, perché solo così potremo ottenere giustizia sociale e fermare l’escalation della guerra.